sabato, Aprile 27, 2024
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Nella suggestiva cornice della Sala Alessi a Palazzo Marino si è svolto oggi un convegno organizzato da Cgil, Anpi, Fondazione di Vittorio, Aned, Comune di Milano per ricordare gli scioperi del 1944, il primo e solo grande sciopero generale avvenuto nell’Europa occupata dal nazifascismo, quando la lotta operaia si affiancò alla lotta partigiana.

Il 1° marzo 1944 i lavoratori delle fabbriche delle regioni d’Italia ancora occupate dai tedeschi e dai fascisti incrociano le braccia: per una settimana la grande industria italiana si ferma e così la produzione per la Germania. Si fermano gli operai delle fabbriche ma anche i tranvieri, la redazione del Corriere della Sera. In Lombardia si calcolano circa 350mila scioperanti. La repressione fu durissima: molti furono deportati nei campi di sterminio. Molti non tornarono più.

In apertura della giornata a Palazzo Marino, il sindaco di Milano Beppe Sala ha ricordato l’importanza del diritto di sciopero, il fondamentale ruolo del sindacato nella ricerca e tutela dell’equità sociale, della giustizia e della democrazia.

Luca Stanzione, segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, nel descrivere quelle mobilitazioni come la chiave di volta nella storia della Resistenza, ha illuminato il ruolo essenziale delle donne, di preparazione e poi di realizzazione degli scioperi, con volantinaggi, comizi volanti: la battaglia per la libertà che è andata oltre le condizioni di lavoro e di vita.  Oltre il valore della loro stessa esistenza.

Edmondo Montali, della Fondazione di Vittorio, ha illustrato il ruolo della classe operaia del 1944 nel progetto di democrazia “a cui tutti, oggi più che mai, siamo chiamati a partecipare”.

Se per una settimana di fermò la produzione bellica in Italia non fu solo per le pur drammatiche condizioni di vita e di lavoro, ma per dire un grande e deciso no alla guerra: un vero sciopero politico senza possibilità di mediazione: con gli occupanti nazisti non si aveva alcuna intenzione di trattare.  Dalla parte giusta della storia c’erano giovani, anziani, donne che hanno messo a repentaglio la propria vita per l’antifascismo e la Resistenza, persone che si sentivano assolutamente estranee alle logiche belliche.

Debora Migliucci, direttrice dell’Archivio del Lavoro, ha raccontato le testimonianze di chi c’era. E d’un tratto sembravano presenti in sala anche loro: i tranvieri e le tranviere che incrociavano le braccia mentre gli squadristi della Ettore Muti prendevano il loro posto e danneggiavano oltre 170 vetture. I repubblichini che spianavano i mitra sugli operai per costringerli a riprendere la produzione. Le operaie di Sesto San Giovanni esperte nel sabotare armi e munizioni.

Una grande capacità e intelligenza nel sottrarsi alla sfida bellica ma anche di “difendere la fabbrica” in prospettiva futura.

Un ricordo commosso per Italo Busetto, bancario partigiano, ideatore dei Gruppi di Azione Patriottica e poi Segretario Generale della Camera del Lavoro di Milano dal 1947 al 1958.

Furono migliaia le deportazioni. Lo ha ricordato Dario Venegoni, presidente dell’Associazione nazionale Ex Deportati, ricordando gli operai, operaie, militanti sindacali che dopo gli scioperi furono deportati nei lager tedeschi per morire, in 1.200, in una lunga agonia per le fatiche, le torture e la denutrizione.

Maurizio Landini nel suo intervento ha trattato del diritto di sciopero come valore di democrazia e contributo alla crescita democratica: non a caso Di Vittorio fu, all’interno della Costituente, dell’art 40, perché gli scioperi prima del 1943 e poi del 1944 hanno legittimato il ruolo della classe operaia nel nostro paese.

Ruolo delle organizzazioni sindacali, diritto di associazione, diritto di sciopero. Diceva Giuseppe di Vittorio: “Attraverso il diritto di sciopero i lavoratori affermano il proprio indispensabile ruolo sociale”.

“Oggi che vediamo un Governo che mina l’esercizio di questo diritto fondamentale e tutelato, non a caso, dalla Carta Costituzionale, ci rendiamo conto di quanto sia in pericolo la stessa democrazia, poiché tra essa e il lavoro ci è un nesso inscindibile”, ha detto Maurizio Landini.

Proprio in questo periodo, “è necessario rilanciare le radici della Costituzione – ha rimarcato il leader della Cgil – attraverso il lavoro che fa vivere dignitosamente: poiché la crisi della democrazia e della partecipazione è legata al peggioramento delle condizioni di lavoro”.  Lavoro dignitoso, lavoro sicuro e lotta alla povertà: questo il fulcro della mobilitazione della Cgil che è partita a ottobre e continuerà nei prossimi mesi.

Gianfranco Pagliarulo, presidente Anpi, ha chiuso i lavori con una riflessione sui temi della pace e del lavoro nella Costituzione: solo agli articoli 1 e 111 viene citata l’Italia nella Costituzione: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” e “L’Italia ripudia la guerra”

Pace e lavoro, i valori del 1944 e del 2024.

I valori che contraddistingueranno anche il nostro 25 aprile. Dal palco l’appello di Luca Stanzione: “I partigiani, le partigiane, le lavoratrici e i lavoratori che hanno lottato per la libertà, avevano lo sguardo dritto verso l’Europa di Altero Spinelli, quell’Europa della libertà e della pace, che non aveva conosciuto la coesione per almeno due secoli. Questo 25 aprile deve vedere tutti gli antifascisti mobilitati per un’ Europa unita, per un’Europa della pace e costruttrice di ponti, un’ Europa che respinge l’antisemitismo che pure spira, un’Europa che è in grado di respingere tutti i neofascismi che rischiano di ripresentarsi alla storia di questo Paese e di questo continente”.

 

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